Questo termine descrive una vera e propria sindrome dolorosa che coinvolge prevalentemente la zona pubica (inguinale) e talvolta anche quella addominale e crurale (parte superiore della coscia anteriormente e medialmente).

Se inizialmente tale sindrome interessava soprattutto atleti d’alto profilo agonistico, col passare degli anni il problema si è diffuso anche a sportivi di livello intermedio; complici le errate condizioni di pratica sportiva e le scarse misure di prevenzione attuate.

Definire la pubalgia una semplice patologia da sovraccarico non è completamente corretto; coinvolge generalmente l’inserzione dei muscoli adduttori e addominali sull’osso pubico e le patologie del canale inguinale.

Le cause che scatenano il dolore sono davvero molteplici; in parte derivano da problemi muscolo-tendinei (squilibri muscolari, entesiti, calcificazioni ecc..), altri sono di origine osteo-articolare (fratture, fratture da stress, osteocondrosi ecc..), altri ancora da intrappolamenti nervosi, o ernie addominali.

 

Un po’ di anatomia

I muscoli adduttori occupano la parte interna della coscia e si inseriscono a livello del pube, così come i muscoli addominali che invece costituiscono la parete anteriore dell’addome. Entrambi questi gruppi muscolari svolgono un’importante ruolo di stabilizzazione del bacino e partecipano attivamente nell’esecuzione di gesti specifici, come la corsa, il tiro, i balzi ed i cambi di direzione.

Perché l’infortunio

Per garantire l’esecuzione di questi gesti in maniera armonica è necessario che i gruppi muscolari siano dotati di buona forza e di adeguata elasticità; grandi disparità di forza tra i muscoli o la loro eccessiva rigidità favoriscono l’instaurarsi di squilibri funzionali e di sovraccarico.

In alcuni soggetti che soffrono di pubalgia è presente uno squilibrio funzionale tra i muscoli adduttori, molto forti e rigidi, ed i muscoli addominali invece più deboli.

Altri fattori che contribuiscono a causare sovraccarico riguardano l’utilizzo di calzature e materiali inadeguati (per esempio l’uso di scapre con tacchetti troppo lunghi su campi secchi o duri), l’errata gestione di carichi di allenamento (periodi di riposo troppo brevi, carichi di lavoro eccessivo o aumentati troppo rapidamente), infortuni precedenti sottovalutati o non ben recuperati, l’esecuzione di gesti specifici in maniera scoordinata e imprecisa.

 

I sintomi della pubalgia

La pubalgia si manifesta con dolore a livello della regione inguinale, in prossimità dell’inserzione sul pube dei muscoli adduttori; il dolore insorge quando queste strutture, sovraccaricate e infiammate, vengono messe in tensione. Inizialmente il dolore si presenta solo e soprattutto durante l’attività sportiva, quando le sollecitazioni sono di una certa entità; col progredire dell’infiammazione il dolore comincia ad apparire anche semplicemente camminando, stando in piedi e addirittura a riposo.

Nel 12% dei casi il dolore coinvolge entrambi gli arti, nel 40% il dolore s’irradia per tutta la parte interna della coscia; 2/3 dei pazienti riferiscono un’insorgenza progressiva della sintomatologia, mentre il restante 1/3 riferisce un’insorgenza molto acuta ed improvvisa.

La diagnosi

La diagnosi prevede una valutazione clinica ed una strumentale. È un passaggio fondamentale nel trattamento perché innanzitutto serve per escludere che i sintomi siano causati da altre patologie, in secondo luogo perché una diagnosi tempestiva consente di interrompere l’attività evitando l’ulteriore peggioramento e la cronicizzazione dal quadro clinico.

Nella valutazione clinica si va ad indagare il tipo di dolore comparso, le strutture interessate dal problema, la presenza di anomalie in tali strutture, con particolare attenzione alla rigidità muscolare ed alla postura della colonna vertebrale; per rendere la valutazione più accurata è bene non limitarsi ad un’osservazione “a riposo”, ma osservare attentamente il comportamento del paziente anche durante simulazioni del gesto o nell’esecuzione di alcuni test specifici.

Per quanto riguarda la diagnosi strumentale è consigliabile effettuare un esame radiografico del bacino (per indagare lo stato della componente ossea); l’ecografia risulta di grande utilità per evidenziare lesioni tendinee e muscolari. L’esame d’elezione è comunque la risonanza magnetica che può dare informazioni dettagliate sia sulla situazione ossea che sulle strutture inserzionali e sul canale inguinale.

La cura

La fase acuta si accompagna generalmente ad un periodo di riposo dall’attività sportiva, di durata variabile a seconda dei casi; l’obbiettivo di questo periodo è di consentire alle strutture coinvolte dal problema di volgere verso la stabilizzazione e la diminuzione dei sintomi. In questa fase l’approccio fisioterapico prevede l’utilizzo di terapie fisiche quali laser, endotermia e tecarperapia; il laser ha un’azione sulle strutture più superficiali, mentre la tecar e l’endotermia consentono un’azione stimolatoria più potente, in grado di coinvolgere anche gli strati più profondi. Queste terapie aumentano l’apporto di sangue nelle strutture interessate dal problema; al tessuto leso viene fornita una maggior quantità di ossigeno, fondamentale per i processi di riparazione e guarigione.

Quando il dolore tende a diminuire e i tessuti risultano più trattabili, vengono associate alle terapie fisiche alcune tecniche manuali specifiche come il massaggio miofasciale, la digitopressione e lo stretching attivo; tali tecniche hanno lo scopo di rilassare e rendere più elastiche quelle strutture che, a causa del dolore, sono rimaste piuttosto rigide e contratte.

Con questi tipi di trattamento il dolore tende a diminuire gradualmente fino a scomparire quasi del tutto; ma riprendere la normale attività in questa fase significa andare incontro ad una sicura ricaduta. Prima di ricominciare a giocare è molto importante riabituare gradualmente i tessuti agli stress a cui sono sottoposti durante l’attività sportiva; tramite l’esecuzione di programmi di recupero personalizzati si va a migliorare l’elasticità e la forza muscolare con lo scopo di ristabilire il giusto equilibrio tra adduttori, addominali, flessori ed estensori. A questo proposito si dimostra molto utile l’approccio osteopatico che, attraverso specifiche manovre, va a ripristinare l’armonia del sistema muscolo-scheletrico in tutto il suo complesso.

La ripresa dell’attività passa per il graduale recupero del condizionamento aerobico e dall’esecuzione, via via sempre più intensa, dei gesti tecnici specifici fino al ritorno sul campo.

 

L’intervento chirurgico

Nel caso in cui il trattamento conservativo non porti ad alcun tipo di miglioramento si profila la possibilità dell’intervento chirurgico. Attraverso varie tecniche si va a “ripulire” l’inserzione pubica dalle lesioni fibro-cicatriziali create dal sovraccarico e dall’infiammazione, a detendere la muscolatura adduttoria ed a riequilibrare le forze muscolari che entrano in gioco a livello del pube tramite plastica addominale; il recupero dell’attività sportiva avviene generalmente dopo SEI mesi dall’intervento.

La prevenzione: alcuni consigli

Il primo punto fondamentale per combattere la pubalgia è la prevenzione: atto sempre più importante in ogni disciplina sportiva.

La pratica costante dello stretching (soprattutto dopo l’attività sportiva), la gestione attenta e graduale dei carichi di allenamento, l’adeguato riposo tra un impegno sportivo e l’altro, l’uso di calzature idonee al tipo di attività praticata aiutano a prevenire sovraccarichi ed infiammazioni; ma in problemi così complessi come quello della pubalgia è di fondamentale importanza per l’atleta imparare a conoscersi, riuscire a gestirsi rispettando i propri limiti e mantenendo l’armonia con il proprio corpo.

Da questo punto di vista non ha senso sopportare dolore ed aspettare “che passi da solo” perché potrebbe non guarire, anzi, addirittura peggiorare.

Il dolore è il segnale d’allarme con cui il nostro corpo ci comunica un problema; se ignoriamo l’allarme il problema diventa più importante, più complicato da risolvere e spesso ci costringe inutilmente a lunghi periodi di stop.