Un po’ di anatomia

Il tendine d’Achille è il più robusto e spesso (circa 1 cm) tendine del corpo umano; lungo circa 15 cm, unisce alla parte posteriore del calcagno i tre muscoli (gemello interno, gemello esterno e soleo) che insieme costituiscono il “polpaccio” (tricipite surale).
L’azione di questi muscoli riveste un ruolo importantissimo non solo nell’esecuzione di gesti complessi (come il salto o la corsa), ma anche nel mantenimento della semplice stazione eretta; essi contribuiscono infatti a sostenere e gestire il peso corporeo sugli arti, stabilizzando la caviglia.
Per svolgere queste funzioni sono necessarie forze molto intense; il tendine d’Achille si occupa di trasmetterle, ammortizzarle e gestirle.

La patologia

I problemi a carico del tendine d’Achille riguardano prevalentemente soggetti di sesso maschile, di età compresa tra i 20 e i 50 anni; in genere podisti, calciatori e tennisti.
Distinguiamo:
• sovraccarichi;
• processi infiammatori (tendiniti, entesiti);
• processi degenerativi (tendinosi);
• rotture parziali o complete del tendine.

I principali fattori responsabili di queste lesioni sono i microtraumi ripetuti che, progressivamente, indeboliscono le fibrille tendinee; quando questi processi si protraggono nel tempo si vengono a creare delle aree di sofferenza e infiammazione all’interno del tendine. Fra i microtraumi più frequenti ricordiamo l’uso di calzature non idonee al tipo di attività sportiva, l’errata gestione dei carichi di allenamento, il mancato riposo tra gli impegni sportivi, i campi di gara in cattive condizioni, la presenza di vizi posturali o accentuate rigidità muscolari (soprattutto della catena cinetica posteriore degli arti inferiori).

La diagnosi: sovraccarichi, tendiniti, entesiti

Generalmente si avverte un dolore di tipo subacuto o acuto, localizzato dai 2 ai 6 cm al di sopra dell’inserzione sul calcagno (tendinite), o in zona inserzionale (entesite); tale dolore è più accentuato nelle prime ore del giorno, all’inizio e fine attività, e di solito facilmente riscontrabile con la palpazione.
A seconda dell’intensità e della situazione in cui si presenta il dolore è possibile classificare la tendinite in tre diversi stadi.
• Il I stadio è caratterizzato da dolore soprattutto dopo lo svolgimento dell’attività sportiva, accompagnato da una sensazione di rigidità nei primi passi mattutini dei giorni successivi.
• Nel II stadio il dolore è invece presente anche all’inizio dell’attività fisica, scompare gradualmente con il riscaldamento per poi ricomparire a “freddo”; la sensazione di rigidità mattutina nei giorni successivi è più marcata e duratura.
• Nel III stadio il dolore limita e impedisce l’attività fisica perché è sempre presente.
Un esame ecografico o, in casi particolari la risonanza magnetica, possono confermare la diagnosi.

La diagnosi: tendinosi e lesioni tendinee

Quando i processi infiammatori vengono trascurati tendono a cronicizzare; in questi casi non si parla più di tendinite ma di tendinosi.
Le fibrille danneggiate, non avendo il tempo di rigenerarsi, rimangono deboli, sottili e poco resistenti; il tendine gradualmente perde la resistenza meccanica e non riesce a sopportare le forze in trazione a cui è sottoposto; questa condizione, talvolta asintomatica, porta quasi inevitabilmente alla rottura tendinea.
In caso di tendinosi il dolore è sordo, continuo, si acutizza con l’attività e regredisce, in parte, con il riposo.
In caso di lesione il paziente avverte un dolore lancinante, trafittivo e non riesce a camminare senza zoppicare vistosamente (spesso il paziente riferisce la sensazione di aver ricevuto un calcio); si può notare il classico segno “del solco”, un avvallamento nella porzione tendinea lesionata; anche in questo caso l’ecografia o la risonanza magnetica sono indispensabili per confermare la diagnosi di tendinosi o di lesione tendinea.

La terapia

La fisioterapia offre diverse modalità di trattamento per i sovraccarichi, la tendinite e l’entesite. L’approccio nella fase acuta avviene generalmente con la terapia fisica; la laserterapia e l’ultrasuonoterapia sono utilizzate per curare gli strati più superficiali del tessuto; la tecarterapia e l’endotermia consentono un’azione più forte ed incisiva anche sui tessuti profondi, consentono una stimolazione della vascolarizzazione e dell’ossigenazione dell’intero apparato tendineo; queste due terapie trovano indicazione nelle tendiniti croniche e nei casi in cui si sospetti un inizio di tendinosi.
Se nel passato si prediligeva l’immobilizzazione e il riposo assoluto, oggi, si ritiene che il movimento precoce, funzionale e mirato permette di ottenere risultati più soddisfacenti. La terapia in acqua consente questo tipo di approccio fin dalle prime fasi, offrendo un ambiente antigravitario dove il paziente può muoversi e fare esercizi senza il carico del peso corporeo sulle articolazioni.
Quando la situazione clinica lo consente si passa al lavoro “a secco” in palestra; in questa fase l’intervento del fisioterapista mira a ripristinare la resistenza e l’elasticità del tendine, oltre alla sua capacità di ammortizzare i carichi. Trovano qui indicazione lo stretching attivo, il rinforzo muscolare eccentrico, il massaggio funzionale e il massaggio trasverso e longitudinale profondo; tramite esercizi specifici e di trasformazione del gesto atletico si accompagna il paziente al ritorno all’attività fisica da lui praticata.

L’intervento chirurgico

In caso di tendinosi avanzate e resistenti alle terapie, si può ricorrere all’intervento chirurgico di scarificazione; serve a “ripulire” e rivascolarizzare la zona di sofferenza tendinea. All’intervento segue un lungo periodo di riabilitazione.
Quando invece c’è una lesione l’intervento è indispensabile e mira a ripristinare la continuità del tendine tramite la sutura dei lembi tendinei strappati, con l’aggiunta di un eventuale rinforzo tramite tenoplastica autologa o omologa (con tendine di banca). Il ritorno all’attività sportiva è prevista non prima dei 6 mesi.

La prevenzione: alcuni consigli

La pratica costante dello stretching attivo e assistito (soprattutto dopo l’attività sportiva), la gestione attenta e graduale dei carichi di allenamento, l’adeguato riposo tra un impegno sportivo e l’altro, l’uso di calzature idonee al tipo di attività praticata aiutano a prevenire ed evitare sovraccarichi a livello tendineo. Abbiamo visto quali gravi conseguenze possano scaturire se si trascura una semplice tendinite Achillea; è ovvio che, prima interviene la fisioterapia, prima e più facilmente si può risolvere il problema. Da questo punto di vista non ha senso sopportare dolore ed aspettare “che passi da sola” perché potrebbe non passare o addirittura peggiorare.
Il dolore è il campanello d’allarme con cui il nostro corpo ci comunica che c’è un problema; se ignoriamo l’allarme il problema diventa più importante, più complicato da risolvere e spesso ci costringe inutilmente a lunghi periodi di stop.